“L'Asia sta perdendo peso nel ruolo di fabbrica del mondo; vanno ritarate produzione e distribuzione. Il Mediterraneo sarà la darsena dei commerci marittimi a lungo raggio” scrive il giornale di ispirazione cattolica Avvenire. “La crisi dei trasporti, con l'aumento notevole dei costi, spinge a ridisegnare le mappe del commercio mondiale”, scrive Reuters.
Il modello che si basava sul trasferimento delle produzioni a minor valore aggiunto nei paesi emergenti è entrato in crisi nel momento in cui la paralisi dei commerci marittimi provocata dal Covid e la crescita della domanda locale in Cina hanno sancito che l’Asia non è più l’unico continente per i grandi produttori OEM per l’Europa e gli Usa.
La 'crisi dei container' sulle rotte dal Far East al Mediterraneo e verso gli Usa è stata il punto di rottura, ma le politiche asiatiche di embargo e accaparramento delle materie prime dimostrano che il mondo non potrà tornare a essere quello di prima. Si stanno ritarando produzione e commercio al dettaglio in aree più vicine all’Europa e agli Stati Uniti.
La logistica si è adeguata e ha già cambiato passo. Il coronavirus ha infatti paralizzato il commercio al dettaglio, rottamando il concetto di just in time, ovvero del prodotto realizzato al momento della richiesta. Prima della pandemia i magazzini erano stati pressoché aboliti, perché un paio di scarpe arrivava a casa in meno di un mese da ovunque; adesso si devono aspettare mesi.
Le economie occidentali hanno iniziato ad attrezzarsi. Se fino al 2019 globalizzazione faceva rima con delocalizzazione, oggi si inizia a parlare di reshoring. Anche la flotta mondiale ha cercato un’Asia più vicina, dove caricare e scaricare. E l’aveva trovata. Fino all’anno scorso, tutti credevano che il nuovo cuore logistico del mondo dovesse essere l’Est europeo, già infrastrutturato e con maestranze capaci.
La guerra in Ucraina ha imposto piani diversi, rilanciando così il ruolo del Mediterraneo e quello dell’Africa. Il mar Mediterraneo può essere considerato una specie di darsena dei commerci marittimi a lungo raggio, grazie al fatto che connette l’Asia e l’Atlantico attraverso Suez e Gibiliterra. Malgrado la globalizzazione che ha coinvolto gli oceani, non ha mai perso la sua centralità. Tra il 1995 e il 2019, i traffici container tra l’Europa e l’Asia sono cresciuti a un tasso medio annuo dell’8,2%, mentre la rotta transatlantica aumentava del 4,4 e la transpacifica del 5,2. Nel 2013 la Cina ha lanciato la One Belt One Road Initiative proprio per collegare gli hub cinesi con il Mediterraneo che nel 2015, attraverso il raddoppio del Canale di Suez, è divenuto protagonista del 20% delle spedizioni globali via mare, del 27% dei servizi di linea container e del 30% del traffico petrolifero.
Negli ultimi anni, le guerre commerciali e la pandemia hanno portato alla riconfigurazione delle catene globali del valore, spingendo alla ri-regionalizzazione, con iniziative più che di di reshoring, meglio dire di nearshoring.
«Nel 2022 la guerra tra Russia e Ucraina ha interrotto le rotte commerciali eurasiatiche continentali, che hanno trovato un’alternativa nei percorsi che raggiungono il Mediterraneo attraverso il Mar Rosso e la rotta Cina-Asia Centro-occidentale-Turchia. Anche la crisi nelle forniture e la crisi energetica fanno sì che la dimensione mediterranea sia il minimo possibile per dare una risposta strategica di lungo respiro. Infine, sia le dinamiche demografiche che il cambiamento climatico richiedono già subito, e sempre più, risposte coordinate a livello di Mediterraneo» recita un rapporto italiano del Ministero per il Sud e la Coesione territoriale, intitolato “Verso Sud”, che prevede un crescente protagonismo economico dell’Italia.
Del resto, stando al Rapporto 2021 Italian Maritime Economy, il trasporto marittimo continua a rappresentare il principale 'veicolo' dello sviluppo del commercio internazionale; vale circa il 12% del Pil globale e per il 2025 la movimentazione container a livello mondiale crescerà a ritmi del 4,8% medio annuo e raggiungerà 1 miliardo di TEU (acronimo di twenty-foot equivalent unit). Se le supply chain riporteranno in Europa alcune filiere, crescerà anche il trasporto marittimo a corto raggio. «Il fu- turo di questa rivoluzione logistica è africano – spiega il presidente di Federlogistica- Conftrasporto Luigi Merlo a Paolo Viana dell’Avvenire –. Esistono già porti come Tangeri e attività che evidenziano capacità di sviluppo importanti, fino al 5%, ma soprattutto perché gli Stati africani cercano un rapporto con l’Europa».
Secondo i dati di Federlogistica, anche la Cina ha investito in infrastrutture tra Mediterraneo e Africa: 47 miliardi di dollari in 52 paesi africani su 54, a debito; negli ultimi 20 anni il volume totale degli scambi tra Cina e Africa è aumentato del 24,7% mentre i prestiti cinesi raggiungevano i 153 miliardi.
Perciò gli africani cercano un partner che si faccia carico di aiutare a estrarre ricavi dagli investimenti realizzati con i partner cinesi. L’UE si è mossa con un piano da 300 miliardi e la Cina stessa ha aumentato il traffico: gli scambi di tonnellate/miglia generati dalle navi bulker sulla rotta Africa-Cina erano aumentati anche nel 2020.
Tuttavia, sul piano logistico l’Africa è ancora arretrata. Nel 2019 ha caricato il 7% del commercio marittimo globale e ha scaricato il 4,6%, concentrando le attività a Nord (36%). Il continente subsahariano rappresenta il 12% dei volumi caricati nei Paesi in via di Sviluppo e il 7% di quelli scaricati, ma è poco integrata nelle reti di produzione; il commercio infra-regionale è agli albori e tutto il mondo aspetta di vedere cosa succederà con il nuovo Afcfta, il trattato che ha creato l’area di libero scambio panafricana.
I porti africani, quando funzionano, sono attrezzati solo per offrire servizi feeder (i collegamenti con navi medio-piccole ai porti non serviti dalle navi di linea), e transhipment (scarico e ricarico su navi più grandi o più piccole), al commercio globale. Il contributo al commercio di container è ancora basso.
Occorrono più inverstimenti. Il Global Gateway europeo finanzia le energie rinnovabili, la prevenzione dei disastri naturali, internet, i trasporti, la produzione e distribuzione dei vaccini e l’educazione. Anche la formazione: «Servirebbe un impegno straordinario per formare professionisti africani della logistica», suggerisce Merlo all’Avvenire.
Vicino a Dakar è stato realizzato un grande centro per manager e se questi investimenti si moltiplicassero verrebbe sovvertita la visione sui flussi migratori, facendo del continente un serbatoio di manodopera specializzata. «Mancano camionisti, magazzinieri, operatori di mezzi meccanici – aggiunge Merlo – e su un piano più qualificato, anche tecnici di cyber security. Il 10% dei marittimi mondiali sono russi e ucraini, bisognerà fare formazione altrove e si apre uno scenario concreto in Africa, sempre che la crisi del grano non porti a carestie capaci di bloccare questa crescita».
A sostenere questo processo ci sono i flussi dei container, in crescita, che collegano l’Europa e l’Africa proprio attraverso il Mediterraneo. A frenarlo concorrono invece gli egoismi nazionali, a partire dall’aumento delle tariffe per il passaggio attraverso Suez.
«Il Mediterraneo – sottolinea Merlo – abbisogna di una governance e al momento solo i Paesi europei si impegnano in tal senso, ma senza questa governance non si potrà sfruttare del tutto la risorsa che rappresenta, e avremo sempre gravi problemi, a partire da quelli ambientali. Non dimentichiamo che è già il mare più caldo del mondo».