La moda esprime solidarietà al popolo ucraino

09 Marzo 2022

L’invasione in Ucraina è avvenuta durante le sfilate di Parigi e Milano, costringendo le aziende a prendere posizione, scrive Il Post. Le edizioni ucraine di Vogue e di L’Officiel, due importanti riviste di moda, chiedono alle grandi aziende di sospendere tutti i rapporti commerciali con la Russia.

 

Imran Amed, fondatore di Business of Fashion, ha risposto all’appello scrivendo che «non possiamo continuare come se niente fosse. Dobbiamo mostrare solidarietà all’Ucraina e isolare la Russia per fare pressione a Putin perché metta fine alla guerra» e il British Fashion Council, l’associazione della moda britannica, ha invitato «tutti i marchi del nostro network a mostrare il proprio sostegno, in qualsiasi modo, al movimento internazionale che condanna l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia».

Nel giro di una settimana la risposta del settore è diventata più concreta. Hermès è stata la prima azienda del lusso ad annunciare la chiusura temporanea di tutti i suoi negozi in Russia e la sospensione delle attività commerciali nel paese, a causa della «situazione in Europa». Nello stesso giorno LVMH, che controlla tra gli altri Louis Vuitton, Christian Dior, Fendi e Givenchy, si è schierato «con tutte le persone colpite dalla guerra» e ha annunciato la donazione di 5 milioni di euro alla Croce Rossa Internazionale e la chiusura di tutti i suoi 120 negozi in Russia, pur continuando a pagare lo stipendio ai 3.500 dipendenti nel paese; si è infine detto preoccupato dei suoi 150 dipendenti in Ucraina, che stava cercando di aiutare. Anche Chanel, Kering – l’altro grande gruppo del lusso francese che controlla Gucci, Balenciaga e Saint Laurent – e il gruppo svizzero Richemont – che possiede Cartier e Montblanc – hanno fatto lo stesso, con posizioni più sfumate: Kering ha chiuso i negozi «per i crescenti timori della situazione in Europa», Chanel per «la crescente insicurezza e la difficoltà logistica».

Sono seguiti a ruota quasi tutti i grandi marchi: Prada, Moncler, Burberry, Nike, Adidas, fino alle catene di fast fashion (la moda più economica) come H&M, Inditex (il gruppo di Zara), che ha chiuso i suoi 502 negozi in Russia e 79 in Ucraina, e Mango che ha 120 punti vendita in Russia. Tra i pochi a non aver sospeso i rapporti commerciali con la Russia c’è la giapponese Uniqlo: il suo direttore esecutivo Tadashi Yanai ha spiegato che «vestirsi è una necessità vitale e i russi hanno lo stesso diritto di vivere che abbiamo noi» e che quindi i 50 punti vendita nel paese resteranno aperti. Intanto molti grossi rivenditori di abbigliamento online, come Farfetch, Mytheresa e Yoox Net-a-Porter, hanno smesso di vendere in Russia.

Nonostante la mobilitazione, molti marchi non hanno criticato apertamente Putin e hanno evitato parole come “guerra” e “invasione”. La neutralità del mondo della moda, scrive Business of Fashion (BoF), è da sempre un problema del settore, che deve riuscire a vendere lo stesso prodotto a paesi che possono anche essere ostili tra loro.


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