Inflation Reduction Act, una legge molto criticata dagli europei

02 Dicembre 2022

L’approvazione al Congresso americano di una legge sulla riduzione dell’inflazione (Inflation Reduction Act of 2022 - IRA) ha alimentato nella UE i timori di una guerra commerciale transatlantica. Il piano – un enorme pacchetto fiscale, climatico e sanitario in vigore dal 2023 – prevede sussidi per oltre 369 miliardi di dollari a favore delle imprese nel settore rinnovabili. La legge offre incentivi fiscali a chi scelga di comprare prodotti made in USA (es. auto elettriche). Dissuadendo così gli americani dal rivolgersi a produttori europei, i quali sarebbero costretti a produrre in territorio statunitense.

 

 

Una guerra commerciale con Washington non può essere vinta dai paesi europei. Ma dalle reazioni delle cancellerie veterocontinentali trapela la determinazione a difendere i propri interessi, lesi non solo dalla legge anti-inflazione. Nelle ultime settimane, diversi fra funzionari e rappresentanti europei non hanno negato l’impressione che Washington stia traendo profitto dalla congiuntura bellica, soprattutto attraverso la vendita di enormi quantità di armi e di gas naturale liquefatto (gnl) in Europa a prezzi non esattamente favorevoli. Al contrario del Vecchio Continente, che sembra sobbarcarsi delle conseguenze (energetiche, industriali ed economiche) più onerose della guerra d’Ucraina. Lo spirito schiettamente protezionistico dell’Ira ha estremizzato negli europei la percezione che l’“alleanza” con gli Usa sia tale solo nominalmente («Washington è ancora un nostro alleato?», sintetizza un alto funzionario Ue).

Francia e Germania, in rotta di collisione su quasi ogni altro dossier di rilievo, hanno tuttavia reagito alla provocazione americana in maniera congiunta e repentina. Il presidente francese Emmanuel Macron, in questi giorni in visita di Stato a Washington, si è fatto portavoce della frustrazione continentale definendo la cosiddetta legge anti-inflazione un provvedimento «super aggressivo». Tra le possibili misure di contrasto al provvedimento americano, Macron ha persino lanciato l’idea di un Buy European Act (norma “compra europeo”), iniziativa che nello stesso spirito sarebbe volta a tutelare il mercato europeo dalla concorrenza americana e cinese. La Germania, altrettanto determinata ma inizialmente più cauta, sembra ora allinearsi alle posizioni di Parigi: per il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck l’Ue dovrebbe opporre una «risposta forte» alla legge statunitense, aprendo alla possibilità di istituire incentivi statali per l’acquisto di merci prodotte sul suolo europeo.

Realisticamente, il margine di manovra è tuttavia molto ridotto. Gli europei potranno al massimo sperare in qualche esenzione o deroga nell’applicazione del regolamento americano ai propri prodotti, come già ottenuto da Messico e Canada. Ma la legge è stata approvata e difficilmente verrà sottoposta a revisioni radicali. Soprattutto perché, sebbene ne facciano le spese anche i paesi europei, l’operazione è in realtà primariamente volta a ridurre la dipendenza dalla Cina, che insieme a pochi altri attori detiene il controllo delle filiere delle materie prime necessarie per la transizione energetica. L’Ira si deve dunque leggere nell’ottica del più grande scontro sino-americano, per Washington prioritario rispetto al benessere del mercato europeo. Gli Stati Uniti vorrebbero anzi che i governi veterocontinentali si decidessero a trattare Pechino come rivale sistemico. Tuttavia, come testimonia il viaggio odierno di Charles Michel e quello recente del cancelliere tedesco Olaf Scholz in Cina, difficilmente alle nostre latitudini si potrebbe smettere di considerare la Repubblica Popolare come partner commerciale. Soprattutto dopo la recisione dei legami energetici con la Russia. L’unica strada per gli europei è dunque ricordare a Washington che, se vuole una Ue forte abbastanza da controbilanciare Pechino e Mosca, è nel suo interesse non fiaccarla troppo economicamente. E segnalare che in caso di guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti la Cina potrebbe essere «l’unico vincitore», come ha recentemente ammonito il ceco Jozef Síkela presiedendo una riunione dei ministri del Commercio europei.

 


Paese: Stati Uniti d'America
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