8- RAPPORTO SOSTENIBILITÀ: PRINCIPI, STRUMENTI, ATTIVITÀ

21 Ottobre 2019

Sviluppo sostenibile è ormai ovunque la parola d'ordine, la terapia per un pianeta malato. Con il nostro “Rapporto sostenibilità” in sette puntate, intendendo per sviluppo sostenibile una crescita economica che tenga conto dell’ambiente, abbiamo compiuto un viaggio attraverso i principi, gli strumenti e le attività disegnate per permettere uno “sviluppo economico e sociale che soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai propri”.

 
 
Siamo partiti dal progetto di Assomac “Supplier of Sustainable Technology”, che ha prodotto la “Targa verde”, per illustrare come i concetti di sostenibilità ambientale e di economia circolare si coniughino con il welfare e l’inclusione sociale e, nel nostro caso, siamo arrivati a collegare il settore meccanico della filiera pelle e calzature con alcune delle più importanti conferenze europee e internazionali dei paesi aderenti alla United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC).
Abbiamo visto che con l’Accordo di Parigi alla COP21, il patto internazionale sul clima più importante degli ultimi anni, i governi del mondo si sono impegnati a mantenere al di sotto dei 2°C l’aumento della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali, e con l’obiettivo ottimale di non superare gli 1,5°C.
Anche abbigliamento e calzature hanno un impatto notevole sul clima. La moda vale l’8% delle emissioni totali di CO2  prodotte dalle attività umane. Fatto 100 questo 8%, le calzature da sole valgono il 17% delle emissioni totali del settore moda, e per oltre il 60% queste emissioni provengono da produzione ed estrazione delle materie prime.
I principali operatori del settore si sono dati obiettivi ambiziosi di mitigazione del cambiamento climatico e hanno ipotizzato le azioni necessarie per ottenere una riduzione delle emissioni di gas serra dell’industria della moda del 5%, 10%, 30% e 50% entro il 2030.
Le imprese coinvolte in iniziative per ridurre l’impronta carbone nei prodotti di largo consumo della moda cercano tecnologie, soluzioni e buone pratiche per la sostenibilità. Per migliorare l'interazione tra impresa e ambiente, ai produttori di beni intermedi è richiesto di eseguire una valutazione della performance, che permetta di esprimere un giudizio sui risultati della gestione ambientale. Per fare questo si utilizzano delle grandezze chiamate indicatori ambientali, basate sul percorso Science Based Target (SBT), nel quale gli obiettivi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra (GHG) sono considerati “basati sulla scienza” se in linea con il livello di decarbonizzazione richiesto per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi rispetto alle temperature preindustriali. 
Gli indicatori ambientali, secondo gli obiettivi scientifici SBT, possono essere intermedi (altrimenti detti midpoints), o finali (endpoints). Gli indicatori di midpoint sono quei processi fisici, chimici e biologici innescati dal consumo o dall’emissione di particolari sostanze. Gli indicatori endpoints cercano di quantificare più in generale i danni alla salute umana e all’ambiente. I midpoints e gli endpoints sono indicatori comuni contenuti nell’analisi del ciclo vita (LCA Life Cycle Assessment) e sono raggruppati nelle seguenti categorie: impatto sul cambiamento climatico (potenziale di riscaldamento globale), qualità dell’ecosistema, salute umana, consumo delle risorse, prelievo di acqua dolce.
Tra le priorità per ora scelte dalle industrie della moda per raggiungere un’ambiziosa riduzione delle emissioni sulle filiere di abbigliamento e calzature ci sono l’utilizzo di energie rinnovabili, l’efficienza energetica, con una particolare attenzione ai passaggi che hanno un maggior impatto sul ciclo vita (conceria per le pelli, o tintura e finissaggio per il tessile, produzione delle fibre, preparazione del filo, preparazione delle tomaie e assemblaggio del prodotto finito) e infine l’economia circolare, cioè il riutilizzo dei materiali usati.
Ultimamente, trentadue aziende globali, leader mondiali nel settore della moda e del tessile, hanno firmato il Fashion Pact, presentato ufficialmente ai capi di Stato riuniti durante il G7 di Biarritz.  Con il Fashion Pact, che nei suoi punti programmatici si focalizza su riscaldamento globale, biodiversità e protezione degli oceani, adottando gli indicatori ambientali SBT, si propone una collaborazione tra stati e società private. Alcuni attori leader nel settore della moda assumono, nei loro singoli metodi di produzione, uno sguardo d’insieme anche sulle tendenze future, tipo mutamenti climatici, digitalizzazione, consumo intelligente e nuovi materiali. Si considera quindi l’impatto che queste tendenze avranno sull’industria, così da consentire decisioni migliori e più informate per un percorso di tecnologia sostenibile nel futuro.
Siamo partiti dal progetto di Assomac “Supplier of Sustainable Technology”, che ha prodotto la “Targa verde”, per illustrare come i concetti di sostenibilità ambientale e di economia circolare si coniughino con il welfare e l’inclusione sociale e, nel nostro caso, siamo arrivati a collegare il settore meccanico della filiera pelle e calzature con alcune delle più importanti conferenze europee e internazionali dei paesi aderenti alla United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC).
Abbiamo visto che con l’Accordo di Parigi alla COP21, il patto internazionale sul clima più importante degli ultimi anni, i governi del mondo si sono impegnati a mantenere al di sotto dei 2°C l’aumento della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali, e con l’obiettivo ottimale di non superare gli 1,5°C.
Anche abbigliamento e calzature hanno un impatto notevole sul clima. La moda vale l’8% delle emissioni totali di CO2  prodotte dalle attività umane. Fatto 100 questo 8%, le calzature da sole valgono il 17% delle emissioni totali del settore moda, e per oltre il 60% queste emissioni provengono da produzione ed estrazione delle materie prime.
I principali operatori del settore si sono dati obiettivi ambiziosi di mitigazione del cambiamento climatico e hanno ipotizzato le azioni necessarie per ottenere una riduzione delle emissioni di gas serra dell’industria della moda del 5%, 10%, 30% e 50% entro il 2030.
Le imprese coinvolte in iniziative per ridurre l’impronta carbone nei prodotti di largo consumo della moda cercano tecnologie, soluzioni e buone pratiche per la sostenibilità. Per migliorare l'interazione tra impresa e ambiente, ai produttori di beni intermedi è richiesto di eseguire una valutazione della performance, che permetta di esprimere un giudizio sui risultati della gestione ambientale. Per fare questo si utilizzano delle grandezze chiamate indicatori ambientali, basate sul percorso Science Based Target (SBT), nel quale gli obiettivi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra (GHG) sono considerati “basati sulla scienza” se in linea con il livello di decarbonizzazione richiesto per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi rispetto alle temperature preindustriali. 
Gli indicatori ambientali, secondo gli obiettivi scientifici SBT, possono essere intermedi (altrimenti detti midpoints), o finali (endpoints). Gli indicatori di midpoint sono quei processi fisici, chimici e biologici innescati dal consumo o dall’emissione di particolari sostanze. Gli indicatori endpoints cercano di quantificare più in generale i danni alla salute umana e all’ambiente. I midpoints e gli endpoints sono indicatori comuni contenuti nell’analisi del ciclo vita (LCA Life Cycle Assessment) e sono raggruppati nelle seguenti categorie: impatto sul cambiamento climatico (potenziale di riscaldamento globale), qualità dell’ecosistema, salute umana, consumo delle risorse, prelievo di acqua dolce.
Tra le priorità per ora scelte dalle industrie della moda per raggiungere un’ambiziosa riduzione delle emissioni sulle filiere di abbigliamento e calzature ci sono l’utilizzo di energie rinnovabili, l’efficienza energetica, con una particolare attenzione ai passaggi che hanno un maggior impatto sul ciclo vita (conceria per le pelli, o tintura e finissaggio per il tessile, produzione delle fibre, preparazione del filo, preparazione delle tomaie e assemblaggio del prodotto finito) e infine l’economia circolare, cioè il riutilizzo dei materiali usati.
Ultimamente, trentadue aziende globali, leader mondiali nel settore della moda e del tessile, hanno firmato il Fashion Pact, presentato ufficialmente ai capi di Stato riuniti durante il G7 di Biarritz.  Con il Fashion Pact, che nei suoi punti programmatici si focalizza su riscaldamento globale, biodiversità e protezione degli oceani, adottando gli indicatori ambientali SBT, si propone una collaborazione tra stati e società private. Alcuni attori leader nel settore della moda assumono, nei loro singoli metodi di produzione, uno sguardo d’insieme anche sulle tendenze future, tipo mutamenti climatici, digitalizzazione, consumo intelligente e nuovi materiali. Si considera quindi l’impatto che queste tendenze avranno sull’industria, così da consentire decisioni migliori e più informate per un percorso di tecnologia sostenibile nel futuro.

Principi, strumenti e attività

Proviamo ora a fare un po’ d’ordine tra i principi, gli strumenti e le attività che abbiamo incontrato nel nostro viaggio circoscrivendo l’ambito nel quale noi, costruttori di macchine specializzati in un settore specifico della filiera della moda, possiamo agire per ottenere i migliori risultati di riduzione degli impatti ambientali.
Per ridurre l’impronta carbone dei prodotti è importante ottimizzare le metodologie di lavoro, il ruolo dei lavoratori, le tecnologie e quindi le macchine che sono utilizzate nei processi di produzione. Per quanto riguarda le macchine, è necessario capire quanto incidono determinate tecnologie di produzione, quanto consumano, come incidono sulla salute di chi le manovra e di chi è comunque coinvolto dalle emissioni nocive e dai rifiuti che queste macchine producono in un determinato momento. Occorre un approccio che tenga conto di tutti gli impatti, per scegliere quelli che sono più importanti rispetto a quelli che hanno una rilevanza marginale nel quadro dell’ecosostenibilità.

I principi

Adesione agli obiettivi del Fashion Pact, che si basano sull'iniziativa internazionale Science Based Target. Questa è nata proprio con l’intento di riuscire a guidare le aziende nella definizione di obiettivi ambiziosi di mitigazione del cambiamento climatico per garantire che la propria Climate Action sia in linea con gli obiettivi scientifici. Sono principalmente tre le aree individuate per la lotta al Climate Change nel patto presentato durante il G7 a Biarritz: arrestare il riscaldamento globale, salvaguardare la biodiversità e proteggere gli oceani.
Dal punto di vista delle tecnologie per la pelle e i prodotti in pelle, il punto di partenza per la realizzazione di questi obiettivi è che il consumo di carne nel mondo causa una grande quantità di pelle, intesa come prodotto di scarto della macellazione, che avrebbe un grosso impatto ambientale se dovesse essere semplicemente smaltita; quindi trasformarla in prodotti in pelle è un esempio di economia circolare e può contribuire al miglioramento dell’ambiente, posto che sia prodotta nel quadro di norme, tecnologie e procedure di lavorazione scientificamente sostenibili.  
  • La pelle è un prodotto con un intrinseco valore ecologico, in quanto è un sottoprodotto della carne che ha un ruolo nell’economia circolare.
Il consumo di carne produce, ad esempio, 7 milioni di tonnellate di pelli bovine al giorno, ed è in crescita. La pelle rappresenta una piccola percentuale del valore degli animali, in quanto sottoprodotto, scarto della macellazione.
  • Lo smaltimento del sottoprodotto pelle pesa molto sull’ambiente, direttamente,
perché 7 milioni di tonnellate di pelli all’anno, se non possono essere riutilizzate, pesano in quanto per il loro trasporto servono circa mille camion al giorno per poterle portare altrove e poi smaltirle in discarica o bruciarle,
  • … e indirettamente,
perché se le pelli sono smaltite, dei materiali alternativi al cuoio devono essere prodotti, con conseguente utilizzo di risorse, quali l’acqua e il petrolio.
  • Invece le pelli possono essere riutilizzate, in luogo di essere smaltite, creando nuovo valore.
Si possono produrre cuoio per tomaie o per rivestimenti di arredamento e pelletteria.
  • I componenti in pelle e non in pelle delle calzature e degli altri accessori per l’abbigliamento e l’arredamento sono principalmente dei sottoprodotti.
I prodotti chimici per la concia sono dei sottoprodotti della lavorazione del petrolio, nel caso della concia al cromo, oppure sono rinnovabili, nel caso della concia con tannini vegetali. I componenti per calzature, le imbottiture per l’arredamento e altri componenti di pelletteria, sono a loro volta sottoprodotti del petrolio.
  • Ma, affinché i prodotti in pelle possano essere categorizzati come “sostenibili”, occorre che essi siano prodotti secondo un modello di impresa sostenibile.
Devono soddisfare i migliori standard sociali e ambientali

 

Gli strumenti

Adozione del modello di impresa sostenibile.  Con questo, ci si riferisce ad un approccio sistemico, “The sustainable model of business”, etico e di lungo periodo: è un paradigma di sviluppo delineato dall’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e dai relativi Sustainable Development Goals (SDGs).
“Sustainable value occurs only when a company creates value that is positive for its shareholders”. In questo l’approccio di cui stiamo trattando si lega ad una responsabilità sociale di impresa “naturale”. Questa è riferita alla natura intimamente sociale dell’impresa, e non di facciata, al punto che “sostenibilità” (come capacità di “rispondere ai bisogni presenti, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”) e “responsabilità sociale” sono utilizzate ora come sinonimi.
Si tratta di un potenziale di impresa, in cui l’introduzione di un modello di sviluppo sostenibile permette di ottimizzare i costi, creare innovazione, aumentare la capacità di attrazione e fidelizzazione dei talenti e della clientela, migliorare il clima aziendale e la perfomance dei dipendenti, incrementare il valore dell’azienda. Questo aumenta così le possibilità di sopravvivenza dell’impresa, fornendo una fonte di vantaggio competitivo[1] e creando la possibilità di nuovi posti di lavoro.
Perseguire finalità sostenibili, da un punto di vista meramente pragmatico, utilitaristico, economico, vuol dire porre l’attenzione al fatto che un prodotto ed una impresa non sono apprezzati unicamente per se stessi, ma anche per le loro caratteristiche non materiali, quali le condizioni di produzione e fornitura, nonché l'immagine e la loro storia, l’impegno  “etico” nella costruzione di una specifica “catena del valore”[2] dove si adottano percorsi e leve per il vantaggio competitivo[3] coerenti con uno “sviluppo sostenibile”[4] per la collettività.
Il tema della Responsabilità Sociale acquista un’importanza fondamentale nella definizione delle strategie di sviluppo d’impresa, oltre che nell'ambito dello sviluppo sostenibile, tanto che esiste anche una norma ISO apposita.
La norma ISO 26000 è uno standard internazionale che fornisce delle linee guida sulla Responsabilità Sociale delle Imprese (RSI) o, secondo l’acronimo inglese CSR, Corporate Social Responsibility. È una norma che si basa sul concetto di Responsabilità sociale d’impresa enunciato con il Libro Verde della Commissione Europea del 2001, che nell’accezione attuale vuol dire assumere un ruolo sociale, farsi carico degli impatti ambientali e delle conseguenze derivanti dalla propria attività, rendendo conto per le proprie decisioni e le proprie attività sulla società e sull’ambiente. Tutto ciò attraverso un comportamento etico e trasparente che possa contribuire allo sviluppo sostenibile, all’attenzione alla salute, tenendo conto delle aspettative degli stakeholder ed essendo ovviamente conformi alla legge, ma anche conformi agli obiettivi di contrasto al Climate Change.
Pur essendo stata pubblicata dall’International Organization for Standardization e approvata in Italia dalla Commissione Centrale Tecnica dell’UNI (4 novembre 2010, e ratifica nel novembre 2011), la ISO 26000 non è destinata ai fini di certificazione da parte di organismi terzi. È semplicemente uno strumento a supporto delle imprese con l’obiettivo di guidarle nell’adozione di buone prassi in tema di sostenibilità, lasciando ad ogni soggetto la scelta dei principi per i quali desidera impegnarsi. Si tratta di un impegno costante e continuo, che deve condurre a investire in capitale umano, ambiente e nell’instaurazione di relazioni con gli attori interessati, adottando un approccio attivo, volto all’autodiagnosi e finalizzato al riconoscimento della propria responsabilità sociale, con conseguente identificazione delle categorie interne ed esterne all’organizzazione (stakeholder), sulle quali ricadono gli impatti derivanti dalle decisioni e dalle attività dell’organizzazione.
In pratica è quello che stanno facendo gli aderenti al Fashion Pact. Essi hanno identificato insieme con alcuni governi delle priorità da perseguire nel porre in essere politiche, strategie ed azioni sostenibili; tuttavia nella parte operativa (le attività), il Fashion Pact prevede che le organizzazioni aderenti presentino un approccio attivo, volto all’autodiagnosi e finalizzato al riconoscimento della propria responsabilità sociale.
Un approccio di questo tipo è possibile perché gli aderenti al Fashion Pact sono in grado di comunicare in modo chiaro e accurato le proprie politiche, decisioni e attività, inclusi gli impatti, reali e potenziali, sulla società e sull’ambiente, avendo già adeguato le procedure e le politiche imprenditoriali rispetto ai principi etici e ambientali sanciti.
Per la concreta applicazione di questo principio, noi dobbiamo prima adottare degli specifici strumenti correttivi, quale ad esempio la certificazione della “targa Verde” che è stata solo il primo tassello del progetto di Assomac “Supplier of Sustainable Technology”.
Dobbiamo compiere un percorso di certificazione dell’adozione di politiche di salvaguardia dell’ambiente, sia relative alle imprese (sistemi di gestione e/o processi produttivi), sia relative ai prodotti, quindi dimostrare i conseguenti benefici nei bilanci delle imprese, e attivare politiche di formazione e aggiornamento sui temi della responsabilità sociale, declinandoli sulla base delle specifiche caratteristiche del nostro settore meccanico per la pelle e i prodotti in pelle.
Queste sono le attività necessarie per poter garantire che la nostra Climate Action sia in linea con gli indicatori ambientali SBT.

Le attività

La Costituzione Italiana, all’art.41 recita: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” (Mentre la figura dell’imprenditore è disciplinata nel Codice civile all’art. 2082 come colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”).
Pertanto, la libertà economica riconosciuta dalla Costituzione non può essere esercitata tenendo conto dei soli interessi dell’imprenditore, ma deve tenere conto anche degli interessi di quei soggetti su cui si possono riflettere le scelte aziendali (lavoratori, finanziatori, fornitori, clienti, consumatori, ecc..). Più in generale si può dire che i confini delle attività imprenditoriali sono quelli della tutela del bene comune (ambiente, salute, interessi sociali).
Il concetto di RSI (responsabilità sociale d’impresa) appare pertanto molto ampio e variegato ed ha trovato nel tempo molteplici declinazioni e differenti definizioni con significati talvolta profondamente diversi, mentre sono proposti anche termini alternativi con significato affine, come “cittadinanza d’impresa”, “sostenibilità d’impresa” “corporate accountability”
L’Unione Europea la inserisce nelle proprie politiche a partire dal 2001 con il “Libro Verde” per la RSI definendola come: "L'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate" e vedendola come uno degli strumenti strategici per realizzare una società più competitiva e socialmente coesa e per modernizzare e rafforzare il modello sociale europeo e la rinnova con le indicazioni contenute nella Strategia Europa 2020 e nel Piano D'Azione Imprenditorialità 2020.
Nella Comunicazione del 2011 reinterpretandola sinteticamente come «la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società» sottolinea lo stretto rapporto tra impresa e società civile attraverso un’ampia gamma di principi, dalle responsabilità sociali verso i lavoratori e i consumatori, fino allo sviluppo sostenibile, che richiede di tutelare gli interessi delle generazioni future, riconoscendo la stretta interdipendenza tra decisioni aziendali e impatti ambientali, andando oltre il rispetto formale delle norme e impegnandosi per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie innovative ed eco-efficienti.”
La RSI o CSR va oltre il rispetto delle prescrizioni di legge e individua pratiche e comportamenti che un’impresa adotta su base volontaria, nella convinzione di ottenere dei risultati che possano arrecare benefici e vantaggi oltre che a se stessa anche al contesto in cui opera. Particolare attenzione viene prestata ai rapporti con i propri portatori d’interesse (stakeholder): collaboratori, fornitori, clienti, partner, comunità e istituzioni locali, realizzando nei loro confronti azioni concrete. Ciò si traduce nell'adozione di una politica aziendale che sappia conciliare gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali del territorio di riferimento, in un’ottica di sostenibilità futura.
Si individua così il campo di applicazione della responsabilità sociale tanto dal punto di vista della dimensione interna, come gestione delle risorse umane, tutela di salute e sicurezza, adattamento alle trasformazioni nelle ristrutturazioni aziendali e gestione degli effetti sull’ambiente , quanto di quella esterna, tipo rapporti con le comunità locali, costruzione di partnership commerciali, rapporti con fornitori e consumatori, rispetto dei diritti umani nella catena di fornitura e preoccupazioni ambientali a livello planetario.
Secondo il concetto del “Triple-Bottom-Line”, cioè Economic Responsibility (responsabilità etica), Legal Responsibility (reponsabilità nei confornti della legge), Ethical Responsibility (reponsabilità etica) e Philanthropic Responsibilityle (respondabilità verso la comunità circostante), le imprese devono puntare a sviluppare comportamenti e investimenti sostenibili con il coinvolgimento sia della base che dei vertici aziendali per perseguire in modo integrato tre risposte ad altrettante tre domande di pari importanza strategica: la qualità ambientale, alla quale vigliamo contribuire con le certificazioni ambientali delle nostre macchine e tecnologie; l’equità sociale, per cui è necessaria una specifica formazione per orientarsi tra i principali fattori di traino che dovrebbero portare ad adottare una cultura d’impresa orientata alla Rsi; e la prosperità economica, che dato il contesto teso alla sostenibilità, non può essere realizzato senza l’innovazione digitale

Qualità ambientale e certificazioni

Il programma “Supplier of Sustainable Technology (SST)” coinvolge aziende che, con molteplici modalità e diversi gradi di intensità, affiancano attività di natura commerciale ad altre di natura sociale. Aziende che continuano ad avere come scopo quello di fare profitti, ma che pongono tra i propri obiettivi anche quello di portare benefici all’ambiente circostante, ai propri dipendenti, ai fornitori o agli altri portatori di interessi coinvolti nella loro attività.
In particolare le imprese che aderiscono al programma sono imprese che ottengono una certificazione, la Targa Verde, sulle prestazioni energetiche delle macchine, che è un primo passo per l’applicazione della metodologia “Life Cycle Assessment” e un componente importante di un sistema di certificazioni ambientali delle macchine e tecnologie che permettono di calcolare l’impronta carbone, “Carbon Footprint”, della attività di produzione nelle quali sono coinvolte macchine e tecnologie fornite.
Si tratta di estendere il sistema SST ad altre certificazioni, sempre a seguito della compilazione di un questionario, da parte di proprietari e manager delle imprese partecipanti al progetto SST, che viene integrato da test che misurano le caratteristiche tecniche che si intendono certificare.
Equità sociale e formazione per adottare una cultura d’impresa orientata alla Rsi.
Per arrivare ad un riconoscimento complessivo della responsabilità sociale delle imprese, occorre che le società aderenti al SST, all’interno della loro attività principale economica, perseguano uno o più effetti positivi (o riduzione di effetti negativi) di carattere ambientale e sociale. Promuovano il loro impegno rispetto a pratiche responsabili da un punto di vista sociale ed ambientale, i cui risultati siano resi pubblici dalla stessa SST e quindi, cercando alleanze e sinergie con club di promozione di politiche ambientali nell’industria, o protocolli di certificazione ambientale dei produttori di prodotti finiti, come possono essere sistemi d’imprese quali il Fashion Pact o ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals).  
In particolare, nella concezione della RSI troviamo alcuni elementi ricorrenti sui quali sviluppare i temi della formazione:
  1. Sostenibilità: uso consapevole ed efficiente delle risorse ambientali in quanto beni comuni, capacità di valorizzare le risorse umane e contribuire allo sviluppo della comunità locale in cui l’azienda opera, capacità di mantenere uno sviluppo economico dell’impresa nel tempo.
  2. Volontarietà: come azioni svolte oltre gli obblighi di legge.
  3. Trasparenza: ascolto e dialogo con i vari portatori di interesse diretti e indiretti d’impresa.
  4. Qualità: in termini di prodotti e processi produttivi.
  5. Integrazione: visione e azione coordinata delle varie attività di ogni direzione e reparto, a livello orizzontale e verticale, su obiettivi e valori condivisi.
La formazione sarà di sostegno alle imprese che intendono raggiungere l’obiettivo di realizzare un rapporto annuale di bilancio sociale volto ad illustrare le azioni compiute per raggiungere gli obiettivi sociali e ambientali, descrivendo gli impatti positivi generati su aree come il sistema di governance dell’azienda, la gestione del personale, la comunità e l’ambiente circostanti e i loro clienti che potranno, grazie agli impatti positivi dei fornitori, raggiungere nuovi obiettivi di politica ambientale.

Sostenibilità e innovazione digitale

Nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile, che richiedono di tutelare gli interessi delle generazioni future, riconoscendo la stretta interdipendenza tra decisioni aziendali e impatti ambientali, andando oltre il rispetto formale delle norme, non sono possibili senza l’impegno nel digitale, per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie innovative ed eco-efficienti.
Il concetto di impresa sostenibile ingloba e supera anche quello di Impresa Socialmente Responsabile perché abbraccia una visione più ampia ed estesa, nello spazio e nel tempo, rispetto a quella dei cosiddetti portatori di interessi (stakeholders).
Effetti ambientali, prossime generazioni, ritmi della natura, ecositemi, biodiversità, valore reale delle cose, persone e culture, necessità dei poveri: il concetto di sostenibilità d’impresa è davvero ampio e profondo.
Noi stiamo sviluppando diverse certificazioni (altrimenti dette label, marchio, targa ecc.…) per definire, misurare e quindi certificare la sostenibilità di un’azienda e tutti con un terzo ed indipendente che controlli che ciò che le certificazioni dichiarano sia vero. E visto che, come abbiamo visto, la sostenibilità riguarda tanti aspetti, il limite di queste certificazioni, è che prendono in considerazioni singole aziende e non l’intera filiera.
Non è possibile analizzare e valutare correttamente e complessivamente se l’azienda è sostenibile (anche solo su uno specifico aspetto come l’emissione di gas serra) senza considerare l’intera filiera di cui fa parte, che sia produttore, capofiliera, o come nel nostro caso intermediario.
Per di più abbiamo a che fare sempre più con filiere internazionali del settore pelle e prodotti in pelle o succedanei, e quindi l’attività di ogni azienda che fa parte di una specifica filiera influisce, ovunque essa sia localizzata, sulla sostenibilità globale dell’intero processo e quindi anche delle altre aziende che ne fanno parte. Detto in altri termini, le filiere hanno specializzazioni diverse, ma sono integrate.
Inoltre, la filiera è un organismo vivo e in continuo cambiamento. Genera continuamente, produzioni, trasformazioni, transazioni, consuma materie prime ed energia, produce scarti e rifiuti. Continuamente.
Le certificazioni, benché si basino su audit periodici, non sono sufficienti. Un’azienda deve conoscere la situazione in tempo reale per poter intervenire, in modo tempestivo e mirato, su elementi di criticità nella propria filiera prima che queste notizie arrivino alla conoscenza dei propri clienti o del mercato.
Per questo motivo clienti e consumatori non riescono a trovare più differenza tra la sostenibilità di un’azienda e la sostenibilità della sua filiera. Li considerano una cosa sola.
Le aziende prosperano solo se sono bene integrate nella filiera. E qui il digitale viene in soccorso: per fare questo è necessario raccogliere, analizzare, valutare un flusso continuo di dati e informazioni provenienti dalla propria filiera; dati quantitativi e qualitativi, provenienti da tante fonti diverse come sistemi informativi aziendali, da basi dati pubbliche, da sensori e macchinari, da transazioni economiche e finanziarie, dai social, da partner esterni come organismi di certificazione e laboratori di analisi, istituti di ricerca, università e valutazioni dei consumatori finali.
Gestirli e analizzarli per avere una visione il più completa e chiara possibile sulla sostenibilità della propria impresa-filiera, per prendere decisioni e migliorarla e per comunicarlo all’esterno, creando valore.
In un periodo in cui effettivamente tutti temono che la trasformazione digitale faccia perdere posti di lavoro, però saranno proprio le filiere digitalizzate quelle che, essendosi adattate ai nuovi cambiamenti, sopravvivranno e si svilupperanno.
Uno dei punti principali è che c'è bisogno di tracciare le componenti di un singolo articolo nell'intero ciclo crea, usa, riutilizza getta. Mettere in contatto costante tra loro fornitori e produttori, per le manutenzioni e le innovazioni, durante tutto il ciclo di vita di un prodotto e delle sue parti integranti.
Come azioni collettive, noi possiamo accompagnare le imprese:
  1. a individuare ed adottare gli strumenti messi a disposizione per rispondere alla crescente domanda di qualità digitale, in termini di processi, prodotti, servizi, relazioni, da parte di clienti, dipendenti, fornitori, enti locali, mondo finanziario e società civile in generale;
  2. identificare le opportunità di innovazione trasversale nelle imprese per rimanere competitive nel tempo;
  3. realizzare delle campagne di divulgazione delle strategie in campo di gitale che ci distinguono dai concorrenti per una migliore reputazione, sia in termini di prestazioni commerciali che di prestazioni sociali;
  4. promuovere delle occasioni di formazione adatta a migliorare quei fattori intangibili come la crescita intellettuale, professionale, relazionale di dipendenti e collaboratori (capitale sociale d’impresa) considerati come elementi determinanti per il successo dell’innovazione digitale.

Nota conclusiva

Tutto quanto abbiamo trattato fa parte di un approccio innovativo e totalmente volontario, perché non esistono ancora delle vere e proprie normative vincolanti, che obblighino a trattare queste questioni ambientali e sociali in modo così proattivo, cioè tese a produrre un bilancio sociale che dimostri, non solo la ottemperanza agli obblighi di legge, ma una riduzione degli impatti scegliendo certi indicatori. Tuttavia ci sono delle linee guida condivise a livello internazionale che sono il filo conduttore della nostra attività di supporto alle imprese, quali Ocse, Onu, Ilo, Icc e che permettono di distinguere tra dimensione interna (gestione delle risorse umane, tutela di salute e sicurezza, gestione degli effetti sull’ambiente), della cui realizzazione non può che essere responsabile ogni singola azienda e dimensione esterna (rapporti con le istituzioni pubbliche per le politiche d’impresa, costruzione di protocolli d’intesa tra associazioni, rapporti con organizzazione dei fornitori e dei clienti e rapporti con le organizzazioni pubbliche e private che si occupano di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale nella catena di fornitura e a livello di consumatori).

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