Il 10 ottobre 2015, una data storica per la politica industriale italiana, all'Assemblea di Unindustria Treviso l'allora presidente del Consiglio Matteo Renzi annunciò l'imminente avvio del superammortamento per i beni strumentali. Il Piano Industria 4.0 inclusivo dell'iperammortamento per le tecnologie digitali, del patent box e di una più ampia dotazione di crediti di imposta per la ricerca, fu poi lanciato nel 2016.
Tale Piano, con varianti, è proseguito con straordinario successo negli anni seguenti ma ora sta andando lentamente ad esaurirsi. Quasi una specie di eutanasia non richiesta, certamente non dalle imprese. È l'ennesima riprova della lontananza della politica italiana dai veri interessi del Paese, che sono quelli di crescita, della competitività e dell'innovazione. Ed è anche l'evidenza di un'assenza di comprensione dell'eccellenza di un modello produttivo, quello del made in Italy, che tutto il mondo ci invidia ma che la nostra classe politica, con rare eccezioni, non ha mai veramente capito. Un modello fatto di un tessuto imprese e settori di eccellenza su cui investire convintamente e costantemente.
Il Piano Industria 4.0 aveva già rischiato di morire con il governo Conte, il quale dopo il suo insediamento lo sospese come gesto di discontinuità con i governi Renzi e Gentiloni. Soltanto a seguito delle proteste del mondo industriale e della caparbietà del Ministro Giovanni Tria e del suo capo di gabinetto Luigi Carbone, il Piano Industria 4.0 fu reintrodotto diversi mesi dopo con il Dl crescita nella primavera del 2019.
Nel corso degli anni le diverse varianti dell'originario Piano Industria 4.0 (denominato poi Impresa 4.0, Transizione 4.0) hanno ampliato e progressivamente spostato le misure agevolazione per gli investimenti delle imprese dell'hardware (nuovi macchinari e impianti ed anche mezzi di trasporto) al software e al digitale e infine alla formazione dei dipendenti per l'utilizzo delle nuove tecnologie.
Alcune importanti misure assai gradite dalle imprese (come il credito d'imposta per la ricerca o il patent box) hanno subito ridimensionamenti. E il sostegno fiscale è andato via via riducendosi.
In molte riflessioni e dibattiti sul Piano Industria 4.0, nonchè nell'azione politica, c'è stato, e purtroppo perdura, un ragionamento di fondo sbagliato. Molti hanno pensato e tuttora pensano: "Le imprese hanno comprato i nuovi macchinari, ora bisogna perciò concentrarci soprattutto sul digitale e sulla formazione degli addetti e dei tecnici". In realtà, solo una parte delle imprese italiane ha investito in nuovi macchinari. Perchè dunque precludere alle realtà aziendali meno pronte e meno forti finanziariamente, oppure uscite in ritardo dalle ripetute crisi degli ultimi anni, pandemia compresa, di comprare nuove macchine come chi ha già potuto farlo prima? Quindi, a nostro avviso, gli incentivi fiscali per l'acquisto di hardware dovrebbero ricominciare e continuare a oltranza, diventare strutturali. E accanto ad essi, ovviamente, dovrebbero continuare anche gli incentivi per il digitale, il cloud, la formazione, ecc.
Lungi dall'andare ad esaurirsi, cioè, il Piano Industria 4.0 dovrebbe proseguire indefinitivamente e ripartire da dove esso è cominciato. Perchè è investendo in nuovi macchinari che poi il processo innovativo si sviluppa, si estende e continua, coinvolgendo anche il digitale e tutto il resto. I vari aspetti dell'innovazione non sono separati ma concatenati tra loro. Le stesse nuove macchine incorporano oggi grandi quantitativi di digitale in più rispetto a quelle del passato. Senza trascurare il fatto che molto piccole imprese del nostro Paese non hanno ancora nemmeno fatto il semplice salto dai vecchi beni strumentali a quelli a controllo numerico (come dire, non sono ancora arrivate all'homo erectus dell'innovazione produttiva).
Per capire la portata che ha avuto in questi anni sull'economia italiana il Piano Industria 4.0 e il perchè esso dovrebbe essere ripristinato nella sua pienezza, proprio a cominciare dall'hardware, val la pena di soffermarci su alcuni semplici dati. Concentriamoci qui sul solo consumo nazionale di nuovi macchinari per l'industria (che spaziano da quelle tessili alle macchine per la lavorazione dei metalli, del legno, delle pelli, delle pietre, delle plastiche e della gomma, del vetro, della carta e delle ceramiche fino a macchine per imballaggio e ai sistemi meccatronici).
Secondo i dati di Federmacchine, nei quadrienni 2008-2011 e 2012-2015 il consumo italiano complessivo di nuovi macchinari si è attestato interno ai 70 miliardi di euro a prezzi correnti per ciascuno dei due quadrienni (una media di circa 17 miliardi/anno). Poi, con il superammortamento e il successivo Piano Industria 4.0, nel quadriennio 2016-2019 il consumo di macchine è balzato a 98 miliardi. Anche scontando un pò di inflazione, si è trattato di un incremento notevole.
Ma non è tutto. Nonostante la pandemia, e il difficile 2020, nel quadriennio 2020-2023 (considerate anche le previsioni per l'anno appena iniziato) il consumo italiano di nuove macchine dovrebbe raggiungere i 112 miliardi di euro (in media 28 miliardi/anno). Nel complesso, se confrontiamo il valore del consumo di macchine del quadriennio 2020-2023 con quello 2012-2015 si è verificata una crescita del 59% a cui il Piano Industria 4.0 ha contribuito in modo fondamentale.
Altro fattore rilevante, circa i 2/3 del consumo nazionale di nuove macchine è coperto da consegne interne dei produttori italiani. Il Piano Industria 4.0, cioè, ha avuto una forte ricaduta diretta sulle nostre produzioni nazionali di macchinari industriali di tutti i tipi. Il circolo virtuoso è stato straordinario. Gli stessi produttori di macchine industriali hanno comprato nuove macchine per produrre le nuove macchine che venivano loro richieste dai settori a valle. Un moltiplicatore di cui hanno beneficiato tantissimi produttori della meccanica made in Italy.
In definitiva, il governo Meloni dovrebbe avere il buon senso di ripartire dal 2016, cioè rilanciare il Piano Industria 4.0 in tutto il suo potenziale. L'esatto opposto che lasciarlo morire. È in gran parte grazie al Piano Industria 4.0 che la manifattura italiana in questi ultimi sette anni è cresciuta di più di quella di Germania, Francia e Spagna in termini di valore aggiunto, produttività, export. La stessa ripresa italiana post pandemia non sarebbe stata così forte se il made in Italy manifatturiero non fosse diventato 4.0, trascinando alla riscossa il Pil del 2021.
Taluni ancora non lo capiscono e, inconsolabili, pensano e continuano a raccontarci che la manifattura italiana è sotto i quantitativi che produceva nel 2000. Fortunatamente, diciamo invece noi, quell'industria italiana di quantità oggi non c'è più. C'è al suo posto un manifatturiero innovativo che crea valore e che, grazie a Industria 4.0, di valore ne crea molto di più di quello che produceva nel 2000. [Il Sole 24 ore]