Sesto articolo nel quadro di “Supplier of Sustainable Technology”.
Il modo più efficace attraverso il quale l’industria della moda può raggiungere un’ambiziosa riduzione delle emissioni sulle filiere di abbigliamento e calzature è quello di concentrarsi sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica lungo tutta la catena del valore, con una particolare attenzione sui passaggi che hanno un maggior impatto sul ciclo vita (conceria per le pelli, o tintura e finissaggio per il tessile, produzione delle fibre, preparazione del filo, preparazione delle tomaie e assemblaggio del prodotto finito) per spingere la catena del valore verso un futuro a bassa emissione di carbonio, riutilizzando infine anche il riciclo di materiali usati.
Per ridurre l’impronta carbone dei prodotti è importante ottimizzare le tecnologie e quindi le macchine che sono utilizzate nei processi di produzione. Per ridurre l’impronta carbone delle macchine è necessario capire quanto incidono determinate tecnologie per produrre quello che devono produrre, quanto consumano e i rifiuti che producono in un determinato momento. Occorre un approccio che tenga conto di tutti gli impatti, per scegliere quelli che sono più importanti rispetto a quelli che hanno una rilevanza marginale nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Il primo passo da fare è categorizzare le azioni più importanti per ridurre gli impatti e di conseguenza le aree d’impatto da misurare. Qui noi abbiamo preso in esame tre azioni principali: l’utilizzo di energia rinnovabile, l’ottimizzazione dell’efficienza energetica e la realizzazione dell’economia circolare. Ogni tecnologia deve confrontarsi con queste tre azioni e misurare l’area di riferimento nella quale può ottenere i migliori risultati di riduzione degli impatti. Spesso la comunicazione dei grandi marchi di vendita al dettaglio si focalizza sull’economia circolare, sul riutilizzo dei prodotti a fine del ciclo vita, mentre la tecnologia nei processi di produzione viene un po’ trascurata. In realtà, quando un’industria cerca di raggiungere la più alta riduzione di emissioni, funziona di più concentrare gli sforzi sull’aumento dell’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica piuttosto che puntare sull’incremento dell’economia circolare. Sebbene le misure per una economia circolare costituiscano una via percorribile verso la riduzione dei materiali, queste non hanno un impatto così significativo sulla riduzione delle emissioni, e (come obiettivo a sé stante) può al massimo raggiungere un 10% circa di riduzione delle emissioni complessive all’interno dell’ampia catena di valore dell’abbigliamento e della calzatura.Solo un’economia circolare dove possano essere saltati molti passaggi della catena, attraverso il riuso dei tessuti o del cuoio, può consentire una riduzione consistente degli indicatori. Inoltre, per essere efficace, l’economia circolare non deve creare un maggior consumo, cosa che può succedere se si verifica un effetto di rimbalzo con un aumentato o del consumismo tipo pronto moda. Se si vuole porre un obiettivo basato sui dati scientifici e che valga per l’intera industria bisognerebbe quindi concentrare gli sforzi per ridurre l’uso dei combustibili fossili e migliorare l’efficienza energetica lungo tutta la catena di valore e qui l’utilizzo di tecnologia e macchine appropriate è molto importante.
È importante notare che questo è un obiettivo a livello globale, e la fattibilità di questo passaggio alle rinnovabili dipende in gran parte dalla geografia di produzione. Non è bene ricorrere ad una riduzione artificiale dei consumi con l’acquisto di crediti carbone, in quanto simili strumenti sono spesso problematici in termini di mix energetici e spostano il costo dei consumi da un’economia all’altra, ma non risolvono il problema a livello locale di inquinamento o impatto sulla salute.
Quindi, vediamo quali azioni realmente misurabili si possono intraprendere per confrontare i processi produttivi tradizionali con altri processi produttivi alternativi che prevedono l’utilizzo di energia rinnovabile, calcolando i reali benefici dell’energia rinnovabile, una provata maggiore efficienza energetica e l’applicazione dell’economia circolare.
Per rendere meno astratta la definizione delle misurazioni da effettuare sulle azioni previste, ci siamo avvalsi di alcuni macro-dati di misura che danno un’idea della gerarchia delle azioni indicate. I macro-dati di base da cui partire per calcolare gli impatti principali sono ricavati dal rapporto Science-based Targets for Apparel, Textiles and Footwear,al quale hanno partecipato, per il settore moda, Gap Inc., NIKE, Inc., Levi’s e altri marchi globali. Si tratta dell’iniziativa Science Based Target (SBT), della quale abbiamo accennato nel precedente articolo di questa serie (articolo n° 5, “Hotspot per le industrie di abbigliamento e calzature”). SBT è il più importante sistema di reporting, promosso da Carbon Disclosure Project (CDP), UN Global Compact (UNGC), World Resource Institute (WRI) e dal WWF.
Azione 1: energia rinnovabile
Quando si guarda nello specifico allo scenario della riduzione delle emissioni dell’energia rinnovabile, si vuole capire come siano coinvolte altre categorie di industria che hanno influenze simili nelle emissioni di gas serra. Per stabilire il potenziale delle più diffuse categorie di rinnovabili rispetto all’industria dell’abbigliamento e della calzatura, occorre prevedere l’inserimento di una certa quota di energia rinnovabile nei processi di lavorazione delle materie prime, pelli o filati, quindi il finissaggio e infine la produzione dei prodotti finiti. Quindi i fornitori di tecnologia devono contribuire a costruire delle tabelle di processo che indichino i consumi alla luce di una panoramica dai combustibili fossili fino all’energia solare, oltre a mostrare dei calcoli di confronto nelle metodologie di processo, che specifichino tutte le ricadute positive (o negative), ad esempio, dell’utilizzo di pellets di legno rispetto alle altre alternative non rinnovabili (tipo il metano) per ottenere calore[1].
Si è visto che stabilire un obiettivo del 60%[2]di energia rinnovabile sull’intera industria per il 2030 produrrebbe dei risultati incoraggianti in termini di cambiamenti climatici (riduzione del 39%) e anche di consumo di acqua dolce (16,9% di riduzione) e sulla salute umana (11,5% di riduzione delle malattie), il che dimostra il valore di un approccio multi fattoriale.
Figura 1: Stima della riduzione d’impatto su cambiamento climatico, consumo d’acqua e salute umana se l’industria della moda raggiungerà l’obiettivo del 60% di utilizzo di energia rinnovabile entro il 2030 |
Azione 2: efficienza energetica
Guardando al tema dell’efficienza energetica, lo scopo è capire come vengono coinvolte altre categorie di impatto vicine alle emissioni dei gas ad effetto serra (GHG - Greenhouse Gases) espressi dal Protocollo di Kyoto (quali: anidride carbonica, CO2; metano, CH4; protossido d’azoto, N2O; idrofluorocarburi, HFCs; esafluoruro di zolfo, SF6; perfluorocarburi, PFCs). Diverse percentuali di fattori di efficienza energetica sono applicate per generare sia calore che elettricità per i processi di lavorazione, quali la preparazione delle materie prime. Inoltre, bisogna considerare anche la percentuale di perdita di fibre o di pelle da addebitare a insufficienze tecnologiche nel processo di produzione. Qui, per maggiori particolari, occorre sperimentare esattamente le possibilità di ridurre gli scarti a partire dal grezzo e fino alle fasi di taglio e ancora di rifinizione dei prodotti lungo tutta la filiera.
Con un obiettivo di produttività energetica al 60%[3], l’industria potrebbe ridurre i suoi impatti sul cambiamento climatico e sulla salute rispettivamente del 41,6% e del 40,8% riducendo anche il suo consumo di acqua dolce del 28,5%. Questi risultati dimostrano come altre categorie impattanti possano anch’esse essere influenzate positivamente da un simile obiettivo, dimostrando la validità di un approccio metodologico con molti indicatori.
Figura 2: Stima della riduzione d’impatto su cambiamento climatico, consumo d’acqua e salute umana se l’industria della moda raggiungerà l’obiettivo di maggiorazione del 60% di efficienza energetica entro il 2030 |
Azione 3: Economia circolare
Si è ampiamente discusso del tema di progettare la moda per un’economia circolare, cosa che ha portato i marchi internazionali a richiedere misurazioni affidabili con sistemi di misura chiari ed omogenei sul potenziale di circolarità che può avere l’industria della moda. Qui ci si può proporre di capire come vengano coinvolte anche altre categorie impattanti allo stesso modo delle emissioni di GHG quando viene posto un obiettivo di economia circolare che comprenda l’intera industria. Si deve considerare una percentuale di materie prime riciclate nei processi di produzione delle materie prime basato sul concetto che il 53% dello smaltimento viene avviato al riciclo e il 75% del ricavato del riciclo può essere riutilizzato a sua volta come materia prima riciclata. Inoltre, si può includere un aumento del 10% nell’impatto associato alla preparazione delle materie prime così da dare conto della nuova tecnologia del riciclo, come richiesto da un simile approccio. A monte della tecnologia di processo, anche l’incoraggiare l’introduzione di colture o pratiche di allevamento che riducano l’impronta carbone può ridurre gli impatti addizionali[4]. Infine, le considerazioni sull’equità sono un elemento chiave per qualsiasi discussione sull’economia circolare. Di recente, nazioni dell’Africa orientale come il Rwanda hanno messo al bando l’importazione di vestiti e scarpe di seconda mano in quanto queste danneggiano la manifattura locale e sono considerate come indesiderabili e perfino umilianti per un’economia emergente.
Stabilendo al 40% l’obiettivo dell’economia circolare[5], i dati evidenziano il potenziale in termini di impatto. Un cambiamento così significativo potrebbe portare l’industria dell’abbigliamento e della calzatura a diminuire il suo impatto sul cambiamento climatico di circa il 6% e sul consumo di acqua dolce di circa il 4%, riducendo inoltre la sua influenza negativa sulla salute umana del 3%. Complessivamente, il potenziale di riduzione di questo punto è significativamente più basso rispetto alle energie rinnovabili o all’efficienza/produttività energetica. Ciò significa che chiudere il ciclo solamente sulla fibra o sulla pelle non sarebbe sufficiente a raggiungere delle significative riduzioni di emissioni per tutta l’industria.
Figura 3: Stima della riduzione d’impatto su cambiamento climatico, consumo d’acqua e salute umana se l’industria della moda raggiungerà l’obiettivo di maggiorazione del 40% di materia prima riciclata entro il 2030 |
Questo sguardo d’insieme deve comprendere anche le tendenze future, nel senso dell’impatto che avranno sull’industria, così da consentire decisioni migliori e più informate per un percorso di tecnologia sostenibile nel futuro. Ci sono quattro principali tendenze che sono state valutate fino a d ora e che sono descritte sia nel rapporto The State of Fashion 2017, che nel rapporto del 2016 dell’ASEAN, Refashioning the Future: geographic shifts, digitalization, smart consumption, and preferred & new fiber material.
Le quattro tendenze riguardano i mutamenti geografici, la digitalizzazione, il consumo intelligente e i nuovi materiali e sono l’oggetto del prossimo articolo.
[1]Si intende qui il pellet prodotto da scarti del legno. Sebbene anche le rinnovabili e i residui siano limitati in quantità e possano avere altri impatti negativi (ad esempio un cambiamento nell’utilizzo del terreno o la deforestazione), tuttavia devono sempre avere la precedenza misurazioni di efficienza energetica. Lo scopo qui non è di dire che i pellet sono la migliore/più giusta alternativa quando si pensa a soluzioni rinnovabili per il riscaldamento. Lo studio vuole piuttosto mostrare cosa accade se viene usata una fonte energetica diversa da soluzioni basate sui combustibili fossili (altre considerazioni come ad esempio l’impatto prodotto dal cambiamento d’uso del terreno non vengono così prese in considerazione qui). Per finire, le rinnovabili dovrebbero essere estese al massimo in quelle parti dell’industria manifatturiera che utilizzano l’elettricità, come nella preparazione delle materie prime, pelli e tessuti.
[2]Si è indica un obiettivo di uso di energia rinnovabile del 60% in quanto porterebbe a una riduzione complessiva per l’industria delle emissioni di GHG del 30-50%. L’obiettivo scelto si basa su studi riferiti a un valore di riferimento basato sugli impegni del settore moda nel quadro del Fashion Industry Charter for Climate Action, UNFCCC, il documento che ufficializza l’impegno della moda al rispetto degli accordi di Parigi sul clima. Qui, per la percentuale di produttività dell’energia si presuppone di usare il 60% in meno dell’energia per fare la stessa cosa.
[3]Un obiettivo di produttività energetica del 60% è stato scelto in quanto potrebbe portare a una riduzione per tutta l’industria delle emissioni di GHG del 30-50%. L’obiettivo scelto è basato su un esercizio di valutazione fatto in base agli impegni attuali del Fashion Industry Charter for Climate Action, UNFCCC. Qui, la percentuale di produttività energetica è disegnata considerando di raggiungere il 60% del totale di mix elettrico nel settore dell’abbigliamento per i processi sopra menzionati.
[4]Non si può dedurre in modo automatico che da una riduzione del consumo di cotone consegua un calo dell’utilizzo di acqua dolce in zone con scarsità di acqua. Se in queste regioni il cotone diventa per i contadini una opzione non economica, essi potrebbero passare a una produzione di cibo o bio-carburante che non vedrebbe necessariamente una riduzione del consumo di acqua dolce. Perciò incoraggiando l’adozione di colture e pratiche produttive che riducono l’utilizzo dell’acqua (ad esempio rimpiazzando il cotone tradizionale con fibre di cotone più sostenibili usando pratiche produttive rigeneranti) può ridurre gli impatti addizionali.
[5]Si è scelto un obiettivo del 40% per l’economia circolare in quanto porterebbe a una riduzione delle emissioni di GHG dell’intera industria del 5-10%. Questo obiettivo è stato scelto in quanto è stato ritenuto ragionevole per quanto ambizioso. Qui il 40% è stato ottenuto usando un tasso di fibra riciclata del 53% moltiplicato per il tasso di riciclo che può essere utilizzato per sostituire nuova fibra che era il 75%, così 53%*75%=40%. Quindi, nel totale di materiale di fibre che sarebbe richiesto, sarebbe necessario usare solamente il 60% di nuove fibre.