Assomac e l’Informatore Vigevanese mi hanno chiesto, senza mettersi d’accordo prima, un ricordo personale di Amilcare Baccini. Grazie dell’invito, che apprezzo molto. L’informatore e l’Associazione rappresentano in fondo “l’incrocio perfetto” tra le nostre vite.
L’ho conosciuto nella seconda metà degli anni ’70 quando lui faceva, allora si diceva così, il “sindacalista dei padroni” all’AVI, l’Associazione Vigevanese Industriali, ed io facevo il cronista di questo giornale. Lui il “conservatore”, a volte più di facciata che di sostanza, io il “progressista”, idem come lui.
Ci accomunava, forse, un’origine comune, a Milano. Entrambi eravamo stati “lavoratori-studenti”, lui in una scuola vicino al Carrobbio, io in un’altra dalle parti di Piazzale Loreto, che avevano cominciato a lavorare a 15 anni. E di sera si studiava, crollando poi di stanchezza sui banchi. I nostri caratteri, invece, erano, e sono rimasti nel tempo, molto diversi: lui, del segno dell’Ariete, più “impetuoso”, io, Scorpione ascendente Gemelli, più “mite”.
Fatto sta che allora ci intrigava, finito il tempo delle chiacchiere di lavoro tra il cronista e il funzionario dell’AVI, rimanere a discutere sui massimi sistemi nel suo ufficio che dava sulla strada, al pianterreno della sede degli Industriali. Così abbiamo avuto modo di conoscerci meglio e, forse, fu proprio in conseguenza di quegli “straordinari” che lui mi fece un giorno, nel 1982, una proposta che cambiò la mia vita : andare a lavorare insieme a lui in Assomac, che stava nascendo.
Accettai con entusiasmo, intuendo che sarebbe stata per me una grande esperienza, anche se non capivo bene cosa sarei andato a fare, io, cronista, in un’Associazione industriale. Lo capii ben presto. L’Assomac allora era un foglio bianco che andava riempito: si navigava a vista e c’era tutto da costruire. Ho il bel ricordo, in quel tempo, di una foto gioiosa di noi due spensierati, una foto presa nella prima sede Assomac di via Buozzi, che “gira” attualmente, assieme a tante altre, sullo schermo all’ingresso della sede dell’Associazione.
Insieme a lui, alle colleghe ed ai colleghi che si sono succeduti via via negli anni, siamo stati protagonisti di un’esperienza professionale, per me unica e incredibile, che per noi due è finita lo scorso anno. Lui faceva il Direttore d’orchestra, io mi ero posizionato, visto anche il “tipo” che ero, alla “diplomazia”, alla mediazione con le Istituzioni private e pubbliche, italiane ed estere.
Non è questo l’articolo che ha lo scopo di mettere in luce i traguardi, tanti, raggiunti con lui alla guida dell’Associazione. E’ piuttosto il luogo per “guardarsi dentro”, per ricordare magari che anche per via della sua grossa personalità i rapporti potevano diventare ”spigolosi” pur sempre, comunque, improntati alla schiettezza. Tra di noi, quando era aria di “burrasca”, avveniva una cosa strana e, mi viene adesso da pensare, buffa: ci chiamavamo per cognome anziché per nome: Sig. Baccini, Sig. Pucci e non Amilcare, Mario.
Lo scorso anno volle che terminassi assolutamente con lui l’avventura che ha segnato la nostra vita. Da allora ci siamo sentiti telefonicamente. Ci siamo mancati nel febbraio scorso: avevamo in programma di pranzare insieme a Milano ma poi purtroppo non se ne fece più nulla.
Un pensiero di grande vicinanza va alla moglie, Orietta, e ai figli Greta e Filippo Maria.
Un amico, che non lo conosceva molto, salvo radi incontri associativi, martedi’ scorso, quando ha saputo di lui, mi ha detto: “è un uomo che mi incuriosiva: aveva il suo perché”. A dire che si poteva non essere d’accordo con lui e con il suo pensiero, a volte ostinatamente “controcorrente”, ma diceva sempre delle cose non banali.
Adesso è il tempo del “Dopo” di lui. Il “Dopo”, però, inizia se c’è stato un “Prima”. E che “Prima” !
“Ti sia lieve la terra”, Amilcare.
Mario Pucci